VIOLENZA CONTRO LE DONNE: ALCUNE RIFLESSIONI A MARGINE DI UN INCONTRO

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VIOLENZA CONTRO LE DONNE: ALCUNE RIFLESSIONI A MARGINE DI UN INCONTRO

Il 23 luglio si è svolto l'incontro organizzato da Diana De Marchi, cui hanno partecipato alcune/i delle e dei più importanti esponenti istituzionali che a Milano si occupano da anni di Violenza contro le donne. 

 Tema principale dell'incontro riguardava quali interventi mettere in atto nelle situazioni di emergenza, quando la vita o l'incolumità delle donne è in pericolo ed è necessario metterla in sicurezza. 

Il Magistrato  Fabio Roia, che ha iniziato dal 1991 ad occuparsi di violenza contro le donne come Pubblico Ministero ha rilevato come tale tema  riceva in questo momento una minore attenzione da parte dei media rispetto a un po' di tempo fa, forse per "assuefazione", forse perché in questa fase politica sono state portate in primo piano nel dibattito pubblico altre supposte emergenze. Il magistrato ha anche notato una difficoltà da parte della magistratura nel trattare questa casistica in modo adeguato, anche se le leggi esistono. Così nelle cause civili di separazione dove è presente una situazione di violenza del marito contro la moglie, la resistenza dei figli ad incontrare il padre è interpretata troppo spesso come sintomo della cosiddetta Sindrome da alienazione parentale (PAS) - disturbo non riconosciuto da gran parte della Comunità scientifica internazionale - piuttosto che, più semplicemente, conseguenza dei traumi subiti per la violenza assistita, dunque naturale timore e dolore nell'incontrare un padre che ha commesso gravi atti di violenza verso la madre. 

Ha sottolineato comunque un dato positivo: il CSM ha deliberato di recente la Risoluzione sulle linee guida in tema di organizzazione e buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi a reati di violenza di genere e domestica (Delibera 9 maggio 2018): queste linee guida prevedono gruppi di lavoro specializzati per affrontare tali casistiche, formazione specifica dei magistrati, anche onorari, la messa a ruolo dei casi con precedenza, i collegamenti con le reti antiviolenza, il supporto di psicologi e psichiatri, a tutela delle vittime di particolare fragilità, collegamenti con i Tribunali dei minori e con le sezioni civili, attenta valutazione dei rischi che può correre la donna e delle misure per la sua tutela: tutte indicazioni importantissime per affrontare  questa casistica con la competenza necessaria, a fronte di uomini spesso "insospettabili" e con molti mezzi ed ottimi avvocati.

Altro tema trattato dal magistrato, e poi ripreso con punti di vista differenti da altri interventi, è il fatto che troppo spesso viene allontanata la donna e inserita in Comunità o appartamenti, e non viene allontanato l'uomo violento, nonostante esistano strumenti giuridici che lo permetterebbero, allontanamento che di frequente  può durare molto più tempo di quanto dovrebbe. Ciò è tanto più complesso quando ci sono dei figli, che vengono sradicati dal proprio ambiente. 

Manuela Ulivi, del Centro aiuto donne maltrattate Milano (CADMI) riguardo questo aspetto ha osservato che spesso una casa rifugio, nella quale una donna viene ogni giorno sostenuta da altre donne preparate e formate, è proprio il luogo giusto dove può avviare il processo di ricostruzione e superamento dello stato di violenza. Ciò è stato confermato da Paola Guaglianone, della Cooperativa La Grande Casa - : nei casi di emergenza in genere verificano se la donna ha un posto sicuro nella propria rete famigliare o amicale; in caso contrario propongono una casa protetta, che può essere più tutelante, sia per la protezione che offre, che per il sostegno continuativo che può dare. 

Ovviamente ogni caso è particolare: ci può essere il caso nel quale è indispensabile la protezione perché la donna è ad alto rischio, in tale caso in un appartamento ad indirizzo segreto; oppure è necessario perché ciò permette un supporto che diversamente sarebbe meno sostenuto. 

Tuttavia esistono anche molte situazioni, come ho potuto verificare nella mia esperienza,  nelle quali l'allontanamento dell'uomo violento faciliterebbe l'avvio del percorso di fuoriuscita della donna; esso sarebbe anche meno traumatico per i figli: accade infatti che essi, soprattutto se adolescenti o pre-adolescenti, entrino in conflitto con la madre, per essere stati allontanati dalla scuola e dagli amici. 

Ovviamente sarebbero necessarie sia misure di protezione della donna, in collegamento con le forze dell'ordine, che supporti da parte delle reti antiviolenza non molto minori di quelli garantiti nelle case protette. In altri casi l'allontanamento dell'uomo e il rientro nella casa famigliare sarebbe poi molto utile in una seconda fase, dopo un periodo in una casa di accoglienza, ma può accadere che il magistrato non approvi la misura dell'allontanamento del uomo violento, perché la donna non è più in una situazione di "rischio".

Molto interessanti anche gli interventi degli altri relatori, da cui è emerso come si stiano rafforzando le reti antiviolenza e si stiano diffondendo linee guida istituzionali per supportare le donne, ad esempio  Le linee guida nazionali per i Pronto soccorso, costruite anche grazie all'esperienza di eccellenza che abbiamo avuto a Milano alla Mangiagalli con Alessandra Kustermann; sarà inoltre avviato, grazie ad un intesa fra Regione Lombardia e le prefetture una formazione sistematica delle forze dell'ordine - fondamentale per gestire in modo corretto i casi di "litigio famigliare" per i quali Carabinieri, Polizia Locale, Polizia di stato sono spesso chiamati:  adeguatamente trattati possono salvare vite - di non molto tempo fa un caso a Seveso, dove una donna chiamò i Carabinieri perché gravemente minacciata e percossa dal marito da cui si stava separando, minimizzò all'arrivo delle forze dell'ordine e fu ammazzata subito dopo che loro se furono allontanate. In ogni caso, se registrati,  possono costruire un tassello per comprendere e trattare bene successivi episodi. 

Da ultimo mi soffermo su un punto molto delicato che è emerso con l'intervento di una donna del pubblico, che ha segnalato come molte donne non denuncino la violenza perché poi le/gli  Assistenti sociali  allontanano i figli. Diana De Marchi ha risposto che questa convinzione non ha fondamento e nasce da un pregiudizio, uno stereotipo che esiste nei confronti delle/degli assistenti sociali, ne ha parlato in Commissione consigliare con la Presidente dell'ordine ed ha programmato un incontro per affrontare questo tema. 

Il rapporto fra aiuto alla donna vittima di violenza e tutela dei minori è tuttavia  molto complesso, come ho potuto verificare nella doppia veste che ho rivestito fino a qualche tempo fa, di Dirigente di un Servizio sociale e Responsabile della rete antiviolenza Artemide, della Provincia di Monza e Brianza. E ne risente la relazione fra Centri Antiviolenza, donne vittime di violenza con figli minori, Servizi sociali, al di là dello stereotipo dell'Assistente sociale che porta via i bambini, su cui spesso fra l'altro giocano gli uomini maltrattanti, per spaventare la donna ed  impedire la denuncia.

La segnalazione al Tribunale dei minori della necessità di una tutela dei minori proposta da un Servizio sociale,  può essere una misura a tutela della donna che si allontana con i figli dal tetto coniugale, magari per andare in un luogo protetto non conosciuto dal padre: soprattutto se non c'è una denuncia, la donna, senza segnalazione al Tribunale dei Minori, rischierebbe di essere a sua volta denunciata dal marito per sottrazione dei minori, cosa che accade di frequente; ed i servizi sociali non potrebbero comunque non comunicare al padre dove si trovano i figli. 

Inoltre la presa in carico stabilita dal Tribunale dei minori del nucleo madre/ figli, permette di attivare una serie di interventi educativi e psicologici a sostegno sia delle capacità genitoriali della donna che dei figli. 

Esistono tuttavia due punti di vista differenti fra un servizio sociale ed un centro antiviolenza, dati dalle diverse mission: il primo ha fra i suoi compiti istituzionali principali il sostegno e la tutela dei minori, spesso vittima  di violenza assistita; e valutano le capacità genitoriali della madre,  distrutte da anni di maltrattamento anche psicologico e dunque molto fragili, avendo come riferimento principale i figli. Rischiano dunque, soprattutto se non adeguatamente formate, di non valutare adeguatamente la fragilità della donna vittima di violenza, e dunque di trattare la situazione in un modo errato. D'altra parte i Centri antiviolenza mettono al centro la donna ed il lungo processo di ricostruzione di sè stessa, che essa deve percorrere per uscire dalla violenza; succede che sottovalutino il disagio che vivono i figli e l'importanza di un sostegno, che non sempre può aspettare i tempi di ricostruzione della donna; a loro volta, se non formate adeguatamente, possono condividere i pregiudizi e gli stereotipi verso le Assistenti sociali che "portano via i bambini". 

E' indispensabile dunque che su entrambi i fronti ci sia un lavoro di formazione, di conoscenza reciproca, di riflessione condivisa che permetta di tenere nel giusto conto tanto le esigenze della donna vittima di violenza che quelle dei figli. Ed è importantissimo che per il bene di tutti - minori e madre - lavorino in sinergia, scambiando le rispettive conoscenze, superando i pregiudizi che possono esistere da entrambe le parti e costruendo insieme una rete fitta di interventi a sostegno del nucleo famigliare.




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29 July 2018