FARE BAMBINI. UNA QUESTIONE POLITICA

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FARE BAMBINI. UNA QUESTIONE POLITICA

Si è svolto alla Festa dell'Unità di Milano un interessante incontro sul tema della natalità: "Genitori oggi. Quali sfide?", organizzato dalle Donne Democratiche di Milano Metropolitana.

Un tema importante e molto complesso che si può esemplificare in alcune cifre: in Italia si fanno mediamente 1,36 figli per donna. Questa percentuale se immutata e senza l’apporto dell’immigrazione, ci porterebbe nei prosimi 48 anni al dimezzamento dell'attuale popolazione; con una distribuzione della popolazione per classi di età devastante per la sostenibilità sociale, troppi anziani e pochi giovani per sostenerli, e per lo sviluppo economico del nostro paese.

A fronte di questo dato emerge che donne e uomini italiani vorrebbero più figli, mediamente due per coppia, come riporta l'interessante libro di taglio divulgativo di Letizia Mencarini e Daniele Vignoli "Genitori cercasi. L'Italia nella trappola demografica".(Università Bocconi Editore, 2018). Il gap fra figli desiderati e figli effettivamente avuti  è fra i più alti in Europa; i due studiosi sottolineano che esso è riconducibile in gran parte al processo di rinvio e di ritardo della decisione di procreare, a sua volta collegato ad un insieme di fattori economici, sociali e culturali. 

Come ha detto Jacopo Scandella, giovane Consigliere regionale del PD nell'incontro, è in questo gap che deve inserirsi la politica affinché esso si riduca e le giovani donne e uomini italiani non siano più costretti a rinviare questa importante scelta, fino a non riuscire in troppi casi a realizzare il progetto di natalità.


Numerose le cause che determinano questa situazione: Carmen Leccardi,  docente di Sociologia della Cultura all'Università Milano Bicocca e  Coordinatrice del Centro Interuniversitario di cultura di genere, si è  soffermata su una delle più importanti, la differenza di cultura fra le  giovani donne e i giovani uomini, le prime protese a conquistare ruoli  importanti nella sfera pubblica; i secondi invece continuano a non  occuparsi della sfera privata e  lasciano alle donne tutto il peso degli  indispensabili compiti di cura e di riproduzione, poiché sono troppo  spesso ancora ancorati a visioni arcaiche del ruolo maschile e  femminile. La condivisione del lavoro di cura diventa non solo fattore  di equità e giustizia, ma anche fattore importante per promuovere  maggiori livelli di fecondità. Ciò è confermato anche dalle ricerche  demografiche: i paesi europei nei quali esiste unamaggiore condivisione del lavoro di cura sono quelli in cui si fanno più bambini/e;  viceversa i paesi del sud  ed est Europa con una più iniqua divisione sono quelli a più bassa  natalità.

Esistono anche altri fattori importanti, rilevati nell'incontro e sottolineati dalla ricerche demografiche (cfr. Mencarini Vignola 2018), riconducibili alla differenza di genere: l'occupazione femminile è fra quelli più importanti; essa infatti è strettamente correlata al livello di fecondità, anche in Italia. Tante più donne lavorano, tanto esso è più alto. In Italia purtroppo la partecipazione delle donne al lavoro è ancora troppo bassa, come in altri paesi dell’Europa del sud  e dell'est.

C'è poi un tema di cambiamento dell’organizzazione del lavoro e e dell’organizzazione sociale che si concili con il carico di impegni famigliari, sia per le donne che per gli uomini e, connesso a questo, una nuova  cultura manageriale che non solo non consideri più la maternità come un costo ed un evento negativo nella carriera della donna, ma comprenda che madri (e anche padri) possono essere  una risorsa per le aziende.  Riccarda Zezza, CEO di Life Based Value,  nell’incontro ha rilevato come con l’esperienza genitoriale si sviluppano quelle soft skill che permettono alle aziende di migliorare le proprie prestazioni;  la Società di consulenza ha sviluppato il corso di formazione per aziende, MAAM, Maternity As a Master (ed anche la paternità), di cui è coautrice,  rivolti proprio ai dipendenti genitori; il corso aiuta a riconoscere, valorizzare e utilizzare le capacità acquisite con l'esperienza genitoriale.

Altro aspetto importante che impedisce la realizzazione del desiderio di procreazione è l'incertezza economica in cui vivono le giovani generazioni, come scrivono i due autori prima citati, confermato da un recente progetto di ricerca Trustlab svolto sotto l'egida dell'Ocse, cui hanno partecipato: "il protrarsi delle condizioni sempre più incerte del mercato del lavoro ha avuto forti ripercussioni psicologiche, modificando le aspettative di vita degli individui, aumentando il loro senso di insicurezza e la sfiducia verso il futuro, con effetti negativi sulla progettualità famigliare e sulle intenzioni di fecondità".

Anche l'apporto dell'immigrazione è fondamentale per incrementare il livello di fecondità, per due motivi: fanno scelte migratorie soprattutto generazioni giovani, dunque in età feconda; in aggiunta,  almeno all'inizio essi fanno più figli degli italiani"Per la natalità futura- scrivono Mengarini e Vignoli - la prospettiva della chiusura dei confini alle migrazioni internazionali o anche una loro drastica riduzione, è chiaramente nefasta." E lo dimostrano con dovizia di dati e studi.

Come nefasto,miope e profondamente ingiusto è il trattamento che riserviamo alle cittadine e ai cittadini italiani senza cittadinanza: circa un milione di ragazze e ragazzi che pur essendo nati e/ocresciuti in Italia non riescono ad avere la cittadinanza se non con grandi difficoltà dopo i 18 anni.

 Cambiare questo corso di cose è molto complesso: per il 70% il calo demografico di questi anni è dovuto a cause strutturali, cioè alle scelte riproduttive fatte dalle precedenti generazioni, per cui ci sono meno donne in età fertile. E fra 20 anni le donne in età fertile saranno meno di oggi. Siamo dunque già entrati in una spirale discendente, che via via si aggrava, quella  che Mengarini e Vignoli definiscono la trappola demografica. Tuttavia ne possiamo uscire o comunque la possiamo limitare facendo in modo che la propensione di maternità delle giovani donne e uomini di oggi trovi sempre meno ostacoli a realizzarsi.

In questa situazione  grave per il futuro del nostro paese la politica ha un compito molto importante e non più rinviabile: comprendere che fare e crescere bambini e bambine non è una questione personale sulle spalle dei genitori e soprattutto delle donne, ma  è necessario che tutti ce ne prendiamo cura. E’ insomma una questione sociale e politica. 

Per questo possiamo guardare a quanto fatto da paesi come la Francia e i paesi del nord Europa che stanno contenendo questo fenomeno. E' necessario un mix di interventi:

  • promuovere il lavoro femminile ed eliminare le discriminazioni delle donne sul lavoro; coinvolgere gli uomini nel lavoro di cura e di riproduzione sociale ora quasi tutto sulle spalle delle donne (fare da mangiare, curare bambini, anziani e persone bisognose di cura, pulire etc); una importante e coraggiosa proposta di legge della deputata Giuditta Pini, presentata nel marzo di quest'anno Congedo parentale maschile. va in questa direzione. Il disegno di legge propone un congedo parentale obbligatorio e retribuito di 4 mesi per i padri; questo intervento legislativa avrebbe sia una valenza pratica che culturale: permetterebbe agli uomini di stare a casa con i figli facendo loro scoprire quanto possa essere bello e arricchente curare i bambini. Inoltre sarebbe chiaro alle aziende che assumere donne o uomini non farebbe grande differenza rispetto alla scelta di avere figli;

  • incrementare i servizi di conciliazione - come gli asili nido, il tempo pieno e il tempo prolungato a scuola. Alcuni esempi sono stati fatti da Rosa Palone, assessora a Buccinasco e da Roberta Osculati, consigliera comunale di Milano e presidente della Commissione di Studio per la famiglia istituita dal Consiglio Comunale,  dimostrando che quando c’è volontà politica i fondi si trovano.  

  • costruire un'organizzazione del lavoro che consenta ai genitori di conciliare i compiti educativi con quelli lavorativi;

  • incrementare i fondi da redistribuire alle famiglie con figli, con particolare attenzione alle più povere, e razionalizzarne la distribuzione: oggi non solo spendiamo poco - il 2% del Pil contro il 4% della Francia - ma quel poco spesso non arriva a chi più ne ha bisogno: basti pensare che gli assegni famigliari sono destinati solo ai lavoratori e lavoratrici dipendenti; non li ricevono nè ai lavoratori autonomi o alle partite IVA, nè a chi è disoccupato o perde il lavoro;  le detrazioni fiscali per figli a carico non vanno a chi ha i redditi più bassi ed è incapiente. Inoltre spesso si distribuiscono in mille rivoli, con provvedimenti estemporanei e non continuativi, dunque inutili. In questo ambito un'importante DDL Delega al Governo per riordinare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico attraverso l'assegno unico e la dote unica per i servizi presentata nel 2018.

  • gestire adeguatamente i flussi migratori riformando il testo Unico sull’immigrazione e approvare una legge per lo Ius Soli e culturae.

 Per uscire dalla trappola demografica la politica deve fare scelte costose e coraggiose, la cui efficacia si vedrà nei tempi lunghi delle generazioni, non in quelli brevi dei sondaggi quotidiani  e neppure nei cinque anni di una legislatura.

Concludo con le parole di Letizia Mencarini e  Daniele Vignola: 

"Senza giovani neanche i vecchi possono farcela. Il sistema non è più sostenibile e lo sarà sempre di meno nel prossimo futuro, se la politica non ritorna a pensare in termini di generazioni". 


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6 September 2019